Oggi il maestro delle elementari è colui che introduce nel bambino nozioni, come se il bambino fosse un sacco da riempire. E tali nozioni sono in definitiva mere sintesi burocratiche chiamate cultura, vale a dire: se alla domanda A non rispondi con la risposta A1 non ottieni una giusta mia valutazione, e senza la mia valutazione non avrai il tuo titolo, così come io ho il mio come insegnante diplomato.
http://antigattopardo.splinder.com/post/9249232/Il+senso+del+senso
da V per vendetta
http://www.youtube.com/watch?v=X8S5By_mFu8
Buonasera Italia,
[...] mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere – perché esse sono il mezzo per giungere al significato.
[...] per coloro che vorranno ascoltare all’affermazione della verità... la verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese.
Crudeltà e ingiustizia, intolleranza e oppressione – e lì dove una volta c’era la libertà di obiettare, di pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, lì ora avete censori e sistemi di sorveglianza che vi costringono [...].
Come è accaduto? Di chi è la colpa?
Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che dovrebbero rispondere di tutto ciò, ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole, non c’è che da guardarsi allo specchio.
Buonasera Italia,
[...] mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere – perché esse sono il mezzo per giungere al significato.
[...] per coloro che vorranno ascoltare all’affermazione della verità... la verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese.
Crudeltà e ingiustizia, intolleranza e oppressione – e lì dove una volta c’era la libertà di obiettare, di pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, lì ora avete censori e sistemi di sorveglianza che vi costringono [...].
Come è accaduto? Di chi è la colpa?
Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che dovrebbero rispondere di tutto ciò, ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole, non c’è che da guardarsi allo specchio.
martedì 7 luglio 2009
mercoledì 13 maggio 2009
L'opinione degli studenti
Molto apprezzati inglese e informatica. Bocciate letteratura, matematica, musica
«A scuola meno latino e più italiano»
I giovani giudicano i programmi appena studiati: insofferenza per la teoria, voglia di materie subito utili
MILANO - Cartesio, Aristotele e Rousseau? Noiosi, sorpassati e decisamente inutili. Per non parlare dello studio di funzioni o del calcolo vettoriale, già difficili da capire di loro, spesso — oltretutto — spiegati male. No, grazie. Così come latino e greco antico: meglio che siano insegnati solo al classico. O almeno, così la pensano tre ex studenti su quattro. La scuola vista non più dagli alunni, non ancora dai genitori o dagli insegnanti, è un paesaggio che si apre su scorci inaspettati. La graduatoria delle materie, i valori trasmessi, l’utilità per il futuro, il rapporto con la vita reale: c’è tutto questo e altro ancora nella nuova indagine dell’Associazione TreeLLLe, dedicata alle opinioni dei «giovani adulti» — tra i 19 e i 25 anni, neodiplomati, universitari o lavoratori — nei confronti del sistema scolastico. Oltre millecinquecento interviste (per la precisione, 1.508) equamente suddivise tra tre città, Lecce, Siena e Bologna. Tre territori diversissimi fra loro, per risultati sorprendentemente simili. E un’istantanea inedita delle nostre scuole superiori. Scattata, per la prima volta, dall’altro lato dello specchio.
Il desiderio di comunicare C’è, all’origine di tutto, una riflessione. «Si parla sempre di ciò che i ragazzi dicono della scuola, mentre la stanno frequentando. O dell’opinione che ne hanno gli adulti, fuori ormai da tempo. Entrambe le letture sono falsate: dall’eccesso di coinvolgimento e dall’immaturità, o dalla lontananza e dalle rimembranze». È così che ad Attilio Oliva, presidente di TreeLLLe, è venuto da chiedersi: «Chi può dare un giudizio fermo e meditato sulle superiori italiane?». La risposta: «I giovani che le hanno lasciate da poco e ne vedono i risultati. Al lavoro, o all’università». Ricerca nuova, risultati spiazzanti. Le materie, innanzitutto. Alla domanda sull’«importanza» assegnata a ciascuna di esse, solo cinque delle dieci inserite nel questionario sono state valutate come «molto importanti» da almeno la metà degli intervistati. La graduatoria finale, raggruppando le «molto» e le «moltissimo» importanti, è netta e senza appello: la terna delle competenze ritenute essenziali comprende l’inglese (85%), la «capacità di scrivere correttamente in italiano» (78%), la «capacità di usare le tecnologie informatiche» (72%). Non la storia della letteratura, non la matematica. Per Oliva, «la risposta è chiarissima: dietro c’è il desiderio e la voglia di possedere strumenti di comunicazione con il mondo. Con gli amici, con Internet, con l’Europa». Al polo estremo della classifica, ecco le nuove Cenerentole: la filosofia, «intesa sia come analisi logica — specifica il quesito — sia come studio delle visioni del mondo», ferma a quota 22%. E la musica, «compresa la sua pratica»: 13%. «E stiamo parlando — specifica Giancarlo Gasperoni, che ha diretto l’indagine — di una fascia d’età in cui si dà per scontato che quello musicale sia un elemento importante. Per certi versi è un segnale preoccupante, di sfiducia verso la scuola».
I promossi e i bocciatiGasperoni, che è sociologo dei processi formativi all’Alma Mater di Bologna, nel Dipartimento di discipline della comunicazione, sa perfettamente che la percezione di una cosa è strettamente correlata alla sua rappresentazione. «Per capirci, latino e greco antico: il 75% degli intervistati li vorrebbe solo al classico. E la matematica è ritenuta importante solo dalla metà di questi 'giovani adulti', cosa che si riflette anche sulle loro prestazioni». Il punto è che «se non viene percepita l’importanza di un insegnamento, è difficile che lo studio sia incentivato...». E da chi, se non dai professori. I veri «convitati di pietra» dell’indagine. Che, nella pagella stilata dai freschi ex studenti di licei e istituti tecnici di tutta Italia, restano figure dai contorni sfumati. Perché, alla domanda «su quanti insegnanti abbiano lasciato il segno o trasmesso valori — commenta Oliva —, la risposta è pochissimi»; addirittura nessuno (19%) o uno soltanto (45%). «E dato che si parla di tutta la secondaria, questo significa uno su 10 o più. Evidentemente c’è un livello medio di docenti che non lasciano traccia, e per un ragazzo questo significa molto». Non a caso i «rapporti personali con gli insegnanti», insieme alla loro «competenza didattica», galleggiano nella fascia intermedia della pagella: un ex studente su due si definisce solo «abbastanza» soddisfatto. Molto meglio i «rapporti con i compagni di classe», leggermente più soddisfacente l’«interesse delle materie». Mediocri i libri di testo e le strutture scolastiche, aule incluse. «Forse questo accade — ipotizza Oliva — perché studenti e famiglie hanno aspettative non particolarmente elevate sulla scuola; temo che i nostri ragazzi non riescano neppure a sognare una scuola che sia molto più interessante e coinvolgente».
Dai banchi alla realtà C’è anche, nella ricerca, un accento molto forte sul rapporto tra scuola e mondo esterno. Per esempio, quello del lavoro. «E alla domanda su quanto sia adeguato alle richieste del mercato il livello di preparazione avuto alle superiori — riassume Oliva —, la risposta è drammatica: la maggioranza non ha avuto alcun contatto con il mondo del lavoro attraverso la scuola. Né stage, né tirocini». Che addirittura, interviene Gasperoni, «sono più rari nei percorsi liceali, in Italia storico bacino di provenienza della futura classe dirigente». È, da sempre, una delle battaglie di TreeLLLe, insieme a quella sulla valutazione dei docenti. «Perfino Obama ne ha sostenuto la necessità — rilancia Oliva —. Una convinzione che si è sempre scontrata con un interrogativo: come si misura il loro valore? Bene, l’80% di questi 'giovani adulti' ritiene di essere stato in grado, a fine percorso, di valutare gli ex prof. Di più: il parere coincideva con quello dei compagni. È la dimostrazione che i giovani, in quella fascia d’età, sono i migliori giudici del proprio insegnante ». Va anche detto che, alla domanda sulle figure di riferimento per le scelte scolastiche, due terzi degli intervistati ha risposto «se stessi» e, in seconda battuta, i genitori. E l’autoreferenzialità, forse, è un rischio da non sottovalutare.
Gabriela Jacomella
13 maggio 2009
http://www.corriere.it/cronache/09_maggio_13/latino_italiano_focus_jacomella_a23c533c-3f7c-11de-bc3f-00144f02aabc.shtml
«A scuola meno latino e più italiano»
I giovani giudicano i programmi appena studiati: insofferenza per la teoria, voglia di materie subito utili
MILANO - Cartesio, Aristotele e Rousseau? Noiosi, sorpassati e decisamente inutili. Per non parlare dello studio di funzioni o del calcolo vettoriale, già difficili da capire di loro, spesso — oltretutto — spiegati male. No, grazie. Così come latino e greco antico: meglio che siano insegnati solo al classico. O almeno, così la pensano tre ex studenti su quattro. La scuola vista non più dagli alunni, non ancora dai genitori o dagli insegnanti, è un paesaggio che si apre su scorci inaspettati. La graduatoria delle materie, i valori trasmessi, l’utilità per il futuro, il rapporto con la vita reale: c’è tutto questo e altro ancora nella nuova indagine dell’Associazione TreeLLLe, dedicata alle opinioni dei «giovani adulti» — tra i 19 e i 25 anni, neodiplomati, universitari o lavoratori — nei confronti del sistema scolastico. Oltre millecinquecento interviste (per la precisione, 1.508) equamente suddivise tra tre città, Lecce, Siena e Bologna. Tre territori diversissimi fra loro, per risultati sorprendentemente simili. E un’istantanea inedita delle nostre scuole superiori. Scattata, per la prima volta, dall’altro lato dello specchio.
Il desiderio di comunicare C’è, all’origine di tutto, una riflessione. «Si parla sempre di ciò che i ragazzi dicono della scuola, mentre la stanno frequentando. O dell’opinione che ne hanno gli adulti, fuori ormai da tempo. Entrambe le letture sono falsate: dall’eccesso di coinvolgimento e dall’immaturità, o dalla lontananza e dalle rimembranze». È così che ad Attilio Oliva, presidente di TreeLLLe, è venuto da chiedersi: «Chi può dare un giudizio fermo e meditato sulle superiori italiane?». La risposta: «I giovani che le hanno lasciate da poco e ne vedono i risultati. Al lavoro, o all’università». Ricerca nuova, risultati spiazzanti. Le materie, innanzitutto. Alla domanda sull’«importanza» assegnata a ciascuna di esse, solo cinque delle dieci inserite nel questionario sono state valutate come «molto importanti» da almeno la metà degli intervistati. La graduatoria finale, raggruppando le «molto» e le «moltissimo» importanti, è netta e senza appello: la terna delle competenze ritenute essenziali comprende l’inglese (85%), la «capacità di scrivere correttamente in italiano» (78%), la «capacità di usare le tecnologie informatiche» (72%). Non la storia della letteratura, non la matematica. Per Oliva, «la risposta è chiarissima: dietro c’è il desiderio e la voglia di possedere strumenti di comunicazione con il mondo. Con gli amici, con Internet, con l’Europa». Al polo estremo della classifica, ecco le nuove Cenerentole: la filosofia, «intesa sia come analisi logica — specifica il quesito — sia come studio delle visioni del mondo», ferma a quota 22%. E la musica, «compresa la sua pratica»: 13%. «E stiamo parlando — specifica Giancarlo Gasperoni, che ha diretto l’indagine — di una fascia d’età in cui si dà per scontato che quello musicale sia un elemento importante. Per certi versi è un segnale preoccupante, di sfiducia verso la scuola».
I promossi e i bocciatiGasperoni, che è sociologo dei processi formativi all’Alma Mater di Bologna, nel Dipartimento di discipline della comunicazione, sa perfettamente che la percezione di una cosa è strettamente correlata alla sua rappresentazione. «Per capirci, latino e greco antico: il 75% degli intervistati li vorrebbe solo al classico. E la matematica è ritenuta importante solo dalla metà di questi 'giovani adulti', cosa che si riflette anche sulle loro prestazioni». Il punto è che «se non viene percepita l’importanza di un insegnamento, è difficile che lo studio sia incentivato...». E da chi, se non dai professori. I veri «convitati di pietra» dell’indagine. Che, nella pagella stilata dai freschi ex studenti di licei e istituti tecnici di tutta Italia, restano figure dai contorni sfumati. Perché, alla domanda «su quanti insegnanti abbiano lasciato il segno o trasmesso valori — commenta Oliva —, la risposta è pochissimi»; addirittura nessuno (19%) o uno soltanto (45%). «E dato che si parla di tutta la secondaria, questo significa uno su 10 o più. Evidentemente c’è un livello medio di docenti che non lasciano traccia, e per un ragazzo questo significa molto». Non a caso i «rapporti personali con gli insegnanti», insieme alla loro «competenza didattica», galleggiano nella fascia intermedia della pagella: un ex studente su due si definisce solo «abbastanza» soddisfatto. Molto meglio i «rapporti con i compagni di classe», leggermente più soddisfacente l’«interesse delle materie». Mediocri i libri di testo e le strutture scolastiche, aule incluse. «Forse questo accade — ipotizza Oliva — perché studenti e famiglie hanno aspettative non particolarmente elevate sulla scuola; temo che i nostri ragazzi non riescano neppure a sognare una scuola che sia molto più interessante e coinvolgente».
Dai banchi alla realtà C’è anche, nella ricerca, un accento molto forte sul rapporto tra scuola e mondo esterno. Per esempio, quello del lavoro. «E alla domanda su quanto sia adeguato alle richieste del mercato il livello di preparazione avuto alle superiori — riassume Oliva —, la risposta è drammatica: la maggioranza non ha avuto alcun contatto con il mondo del lavoro attraverso la scuola. Né stage, né tirocini». Che addirittura, interviene Gasperoni, «sono più rari nei percorsi liceali, in Italia storico bacino di provenienza della futura classe dirigente». È, da sempre, una delle battaglie di TreeLLLe, insieme a quella sulla valutazione dei docenti. «Perfino Obama ne ha sostenuto la necessità — rilancia Oliva —. Una convinzione che si è sempre scontrata con un interrogativo: come si misura il loro valore? Bene, l’80% di questi 'giovani adulti' ritiene di essere stato in grado, a fine percorso, di valutare gli ex prof. Di più: il parere coincideva con quello dei compagni. È la dimostrazione che i giovani, in quella fascia d’età, sono i migliori giudici del proprio insegnante ». Va anche detto che, alla domanda sulle figure di riferimento per le scelte scolastiche, due terzi degli intervistati ha risposto «se stessi» e, in seconda battuta, i genitori. E l’autoreferenzialità, forse, è un rischio da non sottovalutare.
Gabriela Jacomella
13 maggio 2009
http://www.corriere.it/cronache/09_maggio_13/latino_italiano_focus_jacomella_a23c533c-3f7c-11de-bc3f-00144f02aabc.shtml
mercoledì 6 maggio 2009
Al Senato 8 mila euro a commesso
La spesa per la previdenza è cresciuta in 2 anni di oltre 12 milioni
Le ricche pensioni del Senato
A un commesso 8 mila euro
Il compenso d’oro mensile. La media degli ex: 133 mila euro l’anno
ROMA — Ottomila euro lordi al mese per quindici mensilità. È la pensione spettante a quel commesso del Senato che giusto una decina di giorni fa ha deciso di lasciare il lavoro. All’età di 52 anni. Il più recente protagonista di un inarrestabile e costosissimo esodo. Leggendo il bilancio di previsione 2009 approvato il 21 aprile dal consiglio di presidenza di palazzo Madama si scopre che negli ultimi due anni i costi per pagare le pensioni sono letteralmente esplosi.
Fra il 2007 e il 2009 sono passati da 77,8 a quasi 90 milioni, con un aumento del 14,3%. Ma se si escludono le pensioni di reversibilità, quelle cioè pagate ai superstiti, la progressione è stata ancora più violenta: +15,6%. Dieci milioni e 800 mila euro in più. Quest’anno, sempre se le previsioni saranno rispettate (ma di solito le stime sono in difetto) la spesa per le sole pensioni «dirette» sfiorerà 80 milioni. Esattamente 79 milioni e 950 mila euro. Cifra che divisa per 598 dipendenti pensionati fa, tenetevi forte, 133.695 euro ciascuno. Vale a dire, quindici volte e mezzo l’importo di una pensione media dell’Inps. Inoltre, dettaglio non trascurabile, le pensioni del Senato seguono la dinamica degli stipendi di palazzo Madama. È stata la crescita abnorme di questa voce che ha impedito al Senato di rinunciare, come invece hanno fatto Camera e Quirinale, all’adeguamento all’inflazione programmata per il prossimo triennio? Chissà. Certamente è vero che l’aumento della spesa per le pensioni dei dipendenti si è mangiato quasi tutte le sforbiciatine fatte al bilancio di palazzo Madama.
Tanto per fare un esempio, la maggiore spesa previdenziale equivale a più del doppio del risparmio sui contributi ai gruppi parlamentari dovuto alla riduzione del numero dei partiti presenti in Senato. Ma non è che a Montecitorio la pressione di chi vuole andare in pensione sia meno forte. Fra il 2007 e il 2009 l’aumento della spesa della Camera per questo capitolo è stato infatti del 14,2%. Quest’anno le pensioni dirette e di reversibilità graveranno sul bilancio di Montecitorio per 191 milioni, circa 24 milioni in più rispetto al 2007. Quale può essere la molla che ha fatto scattare questa fuga ormai evidente? Forse il timore di un nuovo giro di vite particolarmente doloroso, che metterebbe in crisi i privilegi sopravvissuti a tutti i tentativi di riforma? Non è affatto da escludere.
Al Senato, per esempio, chi è stato assunto prima del 1998 può ancora oggi, nel 2009, andare in pensione a 50 anni di età, sia pure con una penalizzazione del 4,5%, a condizione che abbia raggiunto quota 109: la somma dell’età anagrafica, degli anni di contributi e dell’anzianità di servizio al Senato. Con 53 anni di età e la stessa quota 109 la pensione (80% dell’ultimo stipendio) è assicurata senza alcuna penalizzazione. Da tenere presente che i dipendenti entrati in Senato prima del 1998 sono la maggioranza, 609 su 1.004. E che la loro pensione si calcola con il vantaggiosissimo sistema retributivo puro, cioè in percentuale dello stipendio, anziché con il sistema contributivo (in rapporto ai contributi effettivamente versati) stabilito dalla riforma Dini del 1995 per tutti i lavoratori comuni mortali. Con lo stesso sistema retributivo sarà calcolata anche la pensione degli assunti a palazzo Madama dopo il 1998, in tutto 395. Per loro tuttavia il consiglio di presidenza ha deciso lo scorso agosto che scatta il limite minimo d’età di 57 anni. Aspetteranno un po’ di più per avere una pensione da leccarsi i baffi come già hanno avuto i loro colleghi più fortunati. Ma il famigerato sistema contributivo prima o poi arriverà anche in Senato. Sarà applicato a tutti gli assunti dal 2007. Quanti sono? Per ora, zero.
Sergio Rizzo
06 maggio 2009
http://www.corriere.it/cronache/09_maggio_06/pensioni_senato_scandalo_6324d704-3a00-11de-9bf9-00144f02aabc.shtml
Le ricche pensioni del Senato
A un commesso 8 mila euro
Il compenso d’oro mensile. La media degli ex: 133 mila euro l’anno
ROMA — Ottomila euro lordi al mese per quindici mensilità. È la pensione spettante a quel commesso del Senato che giusto una decina di giorni fa ha deciso di lasciare il lavoro. All’età di 52 anni. Il più recente protagonista di un inarrestabile e costosissimo esodo. Leggendo il bilancio di previsione 2009 approvato il 21 aprile dal consiglio di presidenza di palazzo Madama si scopre che negli ultimi due anni i costi per pagare le pensioni sono letteralmente esplosi.
Fra il 2007 e il 2009 sono passati da 77,8 a quasi 90 milioni, con un aumento del 14,3%. Ma se si escludono le pensioni di reversibilità, quelle cioè pagate ai superstiti, la progressione è stata ancora più violenta: +15,6%. Dieci milioni e 800 mila euro in più. Quest’anno, sempre se le previsioni saranno rispettate (ma di solito le stime sono in difetto) la spesa per le sole pensioni «dirette» sfiorerà 80 milioni. Esattamente 79 milioni e 950 mila euro. Cifra che divisa per 598 dipendenti pensionati fa, tenetevi forte, 133.695 euro ciascuno. Vale a dire, quindici volte e mezzo l’importo di una pensione media dell’Inps. Inoltre, dettaglio non trascurabile, le pensioni del Senato seguono la dinamica degli stipendi di palazzo Madama. È stata la crescita abnorme di questa voce che ha impedito al Senato di rinunciare, come invece hanno fatto Camera e Quirinale, all’adeguamento all’inflazione programmata per il prossimo triennio? Chissà. Certamente è vero che l’aumento della spesa per le pensioni dei dipendenti si è mangiato quasi tutte le sforbiciatine fatte al bilancio di palazzo Madama.
Tanto per fare un esempio, la maggiore spesa previdenziale equivale a più del doppio del risparmio sui contributi ai gruppi parlamentari dovuto alla riduzione del numero dei partiti presenti in Senato. Ma non è che a Montecitorio la pressione di chi vuole andare in pensione sia meno forte. Fra il 2007 e il 2009 l’aumento della spesa della Camera per questo capitolo è stato infatti del 14,2%. Quest’anno le pensioni dirette e di reversibilità graveranno sul bilancio di Montecitorio per 191 milioni, circa 24 milioni in più rispetto al 2007. Quale può essere la molla che ha fatto scattare questa fuga ormai evidente? Forse il timore di un nuovo giro di vite particolarmente doloroso, che metterebbe in crisi i privilegi sopravvissuti a tutti i tentativi di riforma? Non è affatto da escludere.
Al Senato, per esempio, chi è stato assunto prima del 1998 può ancora oggi, nel 2009, andare in pensione a 50 anni di età, sia pure con una penalizzazione del 4,5%, a condizione che abbia raggiunto quota 109: la somma dell’età anagrafica, degli anni di contributi e dell’anzianità di servizio al Senato. Con 53 anni di età e la stessa quota 109 la pensione (80% dell’ultimo stipendio) è assicurata senza alcuna penalizzazione. Da tenere presente che i dipendenti entrati in Senato prima del 1998 sono la maggioranza, 609 su 1.004. E che la loro pensione si calcola con il vantaggiosissimo sistema retributivo puro, cioè in percentuale dello stipendio, anziché con il sistema contributivo (in rapporto ai contributi effettivamente versati) stabilito dalla riforma Dini del 1995 per tutti i lavoratori comuni mortali. Con lo stesso sistema retributivo sarà calcolata anche la pensione degli assunti a palazzo Madama dopo il 1998, in tutto 395. Per loro tuttavia il consiglio di presidenza ha deciso lo scorso agosto che scatta il limite minimo d’età di 57 anni. Aspetteranno un po’ di più per avere una pensione da leccarsi i baffi come già hanno avuto i loro colleghi più fortunati. Ma il famigerato sistema contributivo prima o poi arriverà anche in Senato. Sarà applicato a tutti gli assunti dal 2007. Quanti sono? Per ora, zero.
Sergio Rizzo
06 maggio 2009
http://www.corriere.it/cronache/09_maggio_06/pensioni_senato_scandalo_6324d704-3a00-11de-9bf9-00144f02aabc.shtml
martedì 5 maggio 2009
Quel che si ignora dell'educazione
In fin dei conti la buona educazione non è altro che il modo in cui si esprime il rispetto.
Essendo il rispetto, a sua volta, un sentimento ispirato dalla presenza di una superiorità riconosciuta, ove manchino gerarchie, reali o fittizie ma comunque osservate, la buona educazione viene meno.
La rozzezza è un prodotto democratico.
(Nicolás Gómez Dávila)
Essendo il rispetto, a sua volta, un sentimento ispirato dalla presenza di una superiorità riconosciuta, ove manchino gerarchie, reali o fittizie ma comunque osservate, la buona educazione viene meno.
La rozzezza è un prodotto democratico.
(Nicolás Gómez Dávila)
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