da V per vendetta

http://www.youtube.com/watch?v=X8S5By_mFu8

Buonasera Italia,
[...] mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere – perché esse sono il mezzo per giungere al significato.
[...] per coloro che vorranno ascoltare all’affermazione della verità... la verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese.
Crudeltà e ingiustizia, intolleranza e oppressione – e lì dove una volta c’era la libertà di obiettare, di pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, lì ora avete censori e sistemi di sorveglianza che vi costringono [...].
Come è accaduto? Di chi è la colpa?
Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che dovrebbero rispondere di tutto ciò, ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole, non c’è che da guardarsi allo specchio.

mercoledì 13 maggio 2009

L'opinione degli studenti

Molto apprezzati inglese e informatica. Bocciate letteratura, matematica, musica

«A scuola meno latino e più italiano»

I giovani giudicano i programmi appena studiati: insofferenza per la teoria, voglia di materie subito utili

MILANO - Cartesio, Aristotele e Rousseau? Noiosi, sorpassati e decisa­mente inutili. Per non parlare dello studio di funzioni o del calcolo vetto­riale, già difficili da capire di loro, spesso — oltretutto — spiegati male. No, grazie. Così come latino e greco antico: meglio che siano insegnati so­lo al classico. O almeno, così la pensa­no tre ex studenti su quattro. La scuola vista non più dagli alun­ni, non ancora dai genitori o dagli in­segnanti, è un paesaggio che si apre su scorci inaspettati. La graduatoria delle materie, i valori trasmessi, l’uti­lità per il futuro, il rapporto con la vi­ta reale: c’è tutto questo e altro anco­ra nella nuova indagine dell’Associa­zione TreeLLLe, dedicata alle opinio­ni dei «giovani adulti» — tra i 19 e i 25 anni, neodiplomati, universitari o lavoratori — nei confronti del siste­ma scolastico. Oltre millecinquecen­to interviste (per la precisione, 1.508) equamente suddivise tra tre cit­tà, Lecce, Siena e Bologna. Tre territo­ri diversissimi fra loro, per risultati sorprendentemente simili. E un’istan­tanea inedita delle nostre scuole supe­riori. Scattata, per la prima volta, dal­l’altro lato dello specchio.

Il desiderio di comunicare C’è, all’origine di tutto, una rifles­sione. «Si parla sempre di ciò che i ra­gazzi dicono della scuola, mentre la stanno frequentando. O dell’opinio­ne che ne hanno gli adulti, fuori or­mai da tempo. Entrambe le letture so­no falsate: dall’eccesso di coinvolgi­mento e dall’immaturità, o dalla lon­tananza e dalle rimembranze». È così che ad Attilio Oliva, presidente di Tre­eLLLe, è venuto da chiedersi: «Chi può dare un giudizio fermo e medita­to sulle superiori italiane?». La rispo­sta: «I giovani che le hanno lasciate da poco e ne vedono i risultati. Al la­voro, o all’università». Ricerca nuova, risultati spiazzanti. Le materie, innanzitutto. Alla doman­da sull’«importanza» assegnata a cia­scuna di esse, solo cinque delle dieci inserite nel questionario sono state valutate come «molto importanti» da almeno la metà degli intervistati. La graduato­ria finale, raggruppando le «molto» e le «moltissimo» importanti, è netta e senza appello: la terna delle compe­tenze ritenute essenziali comprende l’inglese (85%), la «capacità di scrive­re correttamente in italiano» (78%), la «capacità di usare le tecnologie in­formatiche» (72%). Non la storia del­la letteratura, non la matematica. Per Oliva, «la risposta è chiarissima: die­tro c’è il desiderio e la voglia di posse­dere strumenti di comunicazione con il mondo. Con gli amici, con In­ternet, con l’Europa». Al polo estremo della classifica, ec­co le nuove Cenerentole: la filosofia, «intesa sia come analisi logica — spe­cifica il quesito — sia come studio delle visioni del mondo», ferma a quota 22%. E la musica, «compresa la sua pratica»: 13%. «E stiamo parlan­do — specifica Giancarlo Gasperoni, che ha diretto l’indagine — di una fa­scia d’età in cui si dà per scontato che quello musicale sia un elemento im­portante. Per certi versi è un segnale preoccupante, di sfiducia verso la scuola».

I promossi e i bocciatiGasperoni, che è sociologo dei pro­cessi formativi all’Alma Mater di Bo­logna, nel Dipartimento di discipline della comunicazione, sa perfettamen­te che la percezione di una cosa è strettamente correlata alla sua rappre­sentazione. «Per capirci, latino e gre­co antico: il 75% degli intervistati li vorrebbe solo al classico. E la mate­matica è ritenuta importante solo dal­la metà di questi 'giovani adulti', co­sa che si riflette anche sulle loro pre­stazioni». Il punto è che «se non vie­ne percepita l’importanza di un inse­gnamento, è difficile che lo studio sia incentivato...». E da chi, se non dai professori. I ve­ri «convitati di pietra» dell’indagine. Che, nella pagella stilata dai freschi ex studenti di licei e istituti tecnici di tutta Italia, restano figure dai contor­ni sfumati. Perché, alla domanda «su quanti insegnanti abbiano lasciato il segno o trasmesso valori — commen­ta Oliva —, la risposta è pochissimi»; addirittura nessuno (19%) o uno sol­tanto (45%). «E dato che si parla di tutta la secondaria, questo significa uno su 10 o più. Evidentemente c’è un livello medio di docenti che non lasciano traccia, e per un ragazzo que­sto significa molto». Non a caso i «rapporti personali con gli insegnanti», insieme alla loro «competenza didattica», galleggiano nella fascia intermedia della pagella: un ex studente su due si definisce solo «abbastanza» soddisfatto. Molto me­glio i «rapporti con i compagni di classe», leggermente più soddisfacen­te l’«interesse delle materie». Medio­cri i libri di testo e le strutture scola­stiche, aule incluse. «Forse questo ac­cade — ipotizza Oliva — perché stu­denti e famiglie hanno aspettative non particolarmente elevate sulla scuola; temo che i nostri ragazzi non riescano neppure a sognare una scuo­la che sia molto più interessante e coinvolgente».

Dai banchi alla realtà C’è anche, nella ricerca, un accento molto forte sul rapporto tra scuola e mondo esterno. Per esempio, quello del lavoro. «E alla domanda su quan­to sia adeguato alle richieste del mer­cato il livello di preparazione avuto al­le superiori — riassume Oliva —, la risposta è drammatica: la maggioran­za non ha avuto alcun contatto con il mondo del lavoro attraverso la scuo­la. Né stage, né tirocini». Che addirit­tura, interviene Gasperoni, «sono più rari nei percorsi liceali, in Italia storico bacino di provenienza della futura classe dirigente». È, da sempre, una delle battaglie di TreeLLLe, insieme a quella sulla valu­tazione dei docenti. «Perfino Obama ne ha sostenuto la necessità — rilan­cia Oliva —. Una convinzione che si è sempre scontrata con un interrogati­vo: come si misura il loro valore? Be­ne, l’80% di questi 'giovani adulti' ri­tiene di essere stato in grado, a fine percorso, di valutare gli ex prof. Di più: il parere coincideva con quello dei compagni. È la dimostrazione che i giovani, in quella fascia d’età, sono i migliori giudici del proprio insegnan­te ». Va anche detto che, alla doman­da sulle figure di riferimento per le scelte scolastiche, due terzi degli in­tervistati ha risposto «se stessi» e, in seconda battuta, i genitori. E l’autore­ferenzialità, forse, è un rischio da non sottovalutare.

Gabriela Jacomella
13 maggio 2009

http://www.corriere.it/cronache/09_maggio_13/latino_italiano_focus_jacomella_a23c533c-3f7c-11de-bc3f-00144f02aabc.shtml

mercoledì 6 maggio 2009

Al Senato 8 mila euro a commesso

La spesa per la previdenza è cresciuta in 2 anni di oltre 12 milioni

Le ricche pensioni del Senato
A un commesso 8 mila euro

Il compenso d’oro mensile. La media degli ex: 133 mila euro l’anno

ROMA — Ottomila euro lordi al mese per quindici mensilità. È la pensione spet­tante a quel commesso del Se­nato che giusto una decina di giorni fa ha deciso di lasciare il lavoro. All’età di 52 anni. Il più recente protagonista di un inarrestabile e costosissi­mo esodo. Leggendo il bilancio di pre­visione 2009 approvato il 21 aprile dal consiglio di presi­denza di palazzo Madama si scopre che negli ultimi due anni i costi per pagare le pen­sioni sono letteralmente esplosi.

Fra il 2007 e il 2009 sono passati da 77,8 a quasi 90 milioni, con un aumento del 14,3%. Ma se si escludono le pensioni di reversibilità, quelle cioè pagate ai supersti­ti, la progressione è stata an­cora più violenta: +15,6%. Die­ci milioni e 800 mila euro in più. Quest’anno, sempre se le previsioni saranno rispettate (ma di solito le stime sono in difetto) la spesa per le sole pensioni «dirette» sfiorerà 80 milioni. Esattamente 79 mi­lioni e 950 mila euro. Cifra che divisa per 598 dipendenti pensionati fa, tenetevi forte, 133.695 euro ciascuno. Vale a dire, quindici volte e mezzo l’importo di una pensione me­dia dell’Inps. Inoltre, detta­glio non trascurabile, le pen­sioni del Senato seguono la dinamica degli stipendi di pa­lazzo Madama. È stata la crescita abnorme di questa voce che ha impedi­to al Senato di rinunciare, co­me invece hanno fatto Came­ra e Quirinale, all’adeguamen­to all’inflazione programma­ta per il prossimo triennio? Chissà. Certamente è vero che l’aumento della spesa per le pensioni dei dipendenti si è mangiato quasi tutte le sfor­biciatine fatte al bilancio di palazzo Madama.

Tanto per fare un esempio, la maggiore spesa previdenziale equivale a più del doppio del rispar­mio sui contributi ai gruppi parlamentari dovuto alla ridu­zione del numero dei partiti presenti in Senato. Ma non è che a Montecito­rio la pressione di chi vuole andare in pensione sia meno forte. Fra il 2007 e il 2009 l’au­mento della spesa della Came­ra per questo capitolo è stato infatti del 14,2%. Quest’anno le pensioni dirette e di rever­sibilità graveranno sul bilan­cio di Montecitorio per 191 milioni, circa 24 milioni in più rispetto al 2007. Quale può essere la molla che ha fatto scattare questa fuga ormai evidente? Forse il timore di un nuovo giro di vi­te particolarmente doloroso, che metterebbe in crisi i privi­legi sopravvissuti a tutti i ten­tativi di riforma? Non è affat­to da escludere.

Al Senato, per esempio, chi è stato as­sunto prima del 1998 può an­cora oggi, nel 2009, andare in pensione a 50 anni di età, sia pure con una penalizzazione del 4,5%, a condizione che ab­bia raggiunto quota 109: la somma dell’età anagrafica, degli anni di contributi e del­l’anzianità di servizio al Sena­to. Con 53 anni di età e la stes­sa quota 109 la pensione (80% dell’ultimo stipendio) è assicurata senza alcuna pena­lizzazione. Da tenere presen­te che i dipendenti entrati in Senato prima del 1998 sono la maggioranza, 609 su 1.004. E che la loro pensione si calco­la con il vantaggiosissimo si­stema retributivo puro, cioè in percentuale dello stipen­dio, anziché con il sistema contributivo (in rapporto ai contributi effettivamente ver­sati) stabilito dalla riforma Di­ni del 1995 per tutti i lavorato­ri comuni mortali. Con lo stesso sistema retri­butivo sarà calcolata anche la pensione degli assunti a pa­lazzo Madama dopo il 1998, in tutto 395. Per loro tuttavia il consiglio di presidenza ha deciso lo scorso agosto che scatta il limite minimo d’età di 57 anni. Aspetteranno un po’ di più per avere una pen­sione da leccarsi i baffi come già hanno avuto i loro colle­ghi più fortunati. Ma il fami­gerato sistema contributivo prima o poi arriverà anche in Senato. Sarà applicato a tutti gli assunti dal 2007. Quanti sono? Per ora, zero.

Sergio Rizzo
06 maggio 2009

http://www.corriere.it/cronache/09_maggio_06/pensioni_senato_scandalo_6324d704-3a00-11de-9bf9-00144f02aabc.shtml

martedì 5 maggio 2009

Quel che si ignora dell'educazione

In fin dei conti la buona educazione non è altro che il modo in cui si esprime il rispetto.
Essendo il rispetto, a sua volta, un sentimento ispirato dalla presenza di una superiorità riconosciuta, ove manchino gerarchie, reali o fittizie ma comunque osservate, la buona educazione viene meno.
La rozzezza è un prodotto democratico.

(Nicolás Gómez Dávila)